Pensare ai disturbi alimentari come a disturbi che abbiano a che fare col cibo e col corpo sarebbe riduttivo e fuorviante. Chi manifesta disturbi alimentari non ha problemi con il cibo ma con l’amore, nel senso più esteso del termine. Massimo Recalcati definisce anoressia e bulimia come malattie d’amore, per evidenziare la dimensione affettiva nella loro esacerbazione e durata. Il corpo ed il cibo sono quindi meri vettori del messaggio che queste persone vogliono indirettamente gridare al mondo.
I disturbi alimentari piantano il loro seme all’interno dell’ambiente famigliare in particolare nel rapporto con la madre di cui il bambino non percepirebbe affetto disinteressato. Si tratta di madri che vedono il proprio bimbo come un prolungamento di sé, come una consolazione alla propria solitudine esistenziale e per questo, pur trattandolo con amore, si relazionano con esso in modo egoistico, in relazione ai propri bisogni, non a quelli del bambino: ecco allora il senso di vuoto interiore che si manifesta nel corpo, un corpo affamato d’amore.
Nell’ anoressia (rifiuto drastico, persistente e tenace di assumere cibo), vi è il rifiuto della vita e del legame con l’altro, è una dichiarazione di indipendenza sia relazionale sia da tutto ciò che è “piacere”, “desiderio”, accompagnata spesso dal rifiuto della sessualità. L’anoressica vive una vera e propria anestesia affettiva. Tale stato è la risposta al senso di impotenza: impotenza di fronte all’impossibilità di essere amata per quello che è e non per quello che rappresenta per la madre. Per non soccombere, l’anoressica trasforma l’impotenza nel suo opposto: l’onnipotenza. L’anoressica prova onnipotenza, adrenalina ed intima euforia nel riuscire a controllare il desiderio, la fame, il proprio corpo.
A soffrire infatti nella maggior parte dei casi sono i famigliari da cui generalmente arriva la richiesta di aiuto.
Lungo il continuum dell’anoressia, in una linea con delimitazioni spesso sfumate si colloca la bulimia, il nutrimento compulsivo, il mangiare senza mai saziarsi, il riempirsi senza mai sentirsi pieni. Il cibo diviene un palliativo momentaneo a cui seguono inesorabilmente e puntualmente sentimenti di vergogna, di disgusto e ricorso a condotte espulsive (vomito, clisteri). La bulimica durante l’abbuffata si sta cibando simbolicamente di amore, di quell’amore di cui si sente priva e denudata.
Mentre l’anoressica dice un rumoroso NO al desiderio, al godimento ed al piacere, la bulimica vive una costante oscillazione tra il desiderio di possesso e quello di rifiuto.
Nel sovrappeso e obesità la persona pur non ricorrendo (nella maggior parte dei casi) ad abbuffate e condotte espulsive, utilizza il cibo non per la sua funzione nutritiva ma come simbolo emozionale. Ingrassare è un fatto psicologico e dipende dal rapporto con le emozioni: ecco perché le diete non funzionano o funzionano per brevi periodi. Agendo solo sul sintomo (grasso corporeo) la dieta non individua la causa che ha generato tutto quel grasso corporeo. Così la persona finchè segue la dieta e si “controlla” ottiene qualche risultato, ma alla prima frustrazione o al primo dispiacere generalmente c’è la ripresa del precedente regime alimentare.
Quello che è utile in questi casi, non è una dieta ma l’imparare il valore simbolico del cibo.
Mangi perché hai fame o mangi perché hai fame emotiva, fame d’amore, fame di emozioni e novità che non hai?
Il centro della fame si trova proprio nel cervello e se porta ad abusare di cibo è per dare un piacere non ottenibile in altro modo: spesso chi ingrassa dice troppi “si”, soffoca le emozioni che inespresse si trasformano in grasso. Il grasso sono tutti i “no” non detti; ingrassare risponde al bisogno di essere accolto, di essere simpatico a tutti di essere il “bonaccione” del gruppo, morbido e accogliente. Il grasso nasconde le forme e protegge anche dalla sessualità che spesso è inibita o vissuta con problematicità.
I maggiori dimagrimenti e soprattutto il mantenimento della nuova forma avvengono non in chi si è sottoposto ad una dieta ma in chi ha cambiato il suo stile di vita, la sua mentalità, il suo modo di vedere le cose: in poche parole in chi è uscito dall’ovattato e morbido mondo di grasso in cui si era rinchiuso per realizzare la sua unicità per trasformare il grasso corporeo in energia vitale, quell’energia di cui chi è in sovrappeso è pieno. Le persone grasse per la loro voglia di compiacere gli altri tendono ad essere troppo severe con se stesse a dirsi cosa dovrebbero o non dovrebbero fare, così il cervello per compensare tale rigidità gli da lo stimolo della fame per riequilibrare la tensione interna e dare piacere.
Chi è innamorato non ingrassa: innamorato di una persona, di un’attività, della vita.
I disturbi alimentari devono essere affrontati concependoli come disturbi relazionali prima che come patologie di natura organica e promuovendo, dunque, la riattivazione del mondo affettivo. I disturbi alimentari sono uno dei tanti modi che l’individuo sceglie per esprimere una sofferenza, un disagio che non trova voce. Quando le parole sono assenti, quando pensare alla propria sofferenza o sentirla è troppo doloroso allora tale dolore, può scegliere di esprimersi attraverso il cibo.
Occorre una stretta collaborazione tra medico/nutrizionista e psicologo per ridare vita a corpo e mente della persona. Nel processo di cura è fondamentale il supporto della famiglia che, se le condizioni lo permettono, potrà essere coinvolta in alcuni colloqui.
Bibliografia:
Recalcati M. (1997). L’ultima cena: anoressia e bulimia. Mondadori, Milano.
Winnicott D.W. (1985). The Maturational Processes And The Facilitating Environment. The Hogarth Press, London.