La parola persona deriva dal latino per sonar – per-sonare – parlare attraverso, e fa riferimento alla maschera utilizzata dagli attori teatrali, che serviva a dare all’attore le sembianze del personaggio che interpretava. Per essere credibili nella recita teatrale occorreva quini indossare una maschera.
Ogni giorno ognuno di noi sperimenta sé stesso in diversi contesti, da quello familiare, a quello lavorativo, sociale… c’è chi ha il ruolo del padre/madre, marito/moglie, medico o impiegato, amico, insomma ognuno può liberamente pensare ai molteplici ruoli che assume durante la propria giornata. Per ognuno di questi ambiti è richiesto un diverso comportamento, una diversa maschera: è chiaro che nel contesto lavorativo non ci si comporta come quando si è al bar con amici o nella propria intimità. Tutto ciò, ripeto è funzionale e adattivo: sarebbe inadeguato ad esempio dare ad un cliente appena conosciuto la confidenza che si da ad un amico o rapportarsi col proprio capo come ci si rapporta con il proprio figlio.
Quando l’uso della maschera diventa disfunzionale?
Le maschere di cui ho parlato sopra, devono essere usate in modo consapevole e non devono sopprimere la propria natura. Al contrario, devono aiutare a esprimerla nel modo migliore in quel contesto oppure a trattenerla, ma senza svilirla e solo per il tempo richiesto. L’uso della maschera diventa disfunzionale quando usata in modo massivo, in tutte le situazioni della vita, in altre parole, quando ci si identifica con quella maschera impedendole di esprimere la propria identità a causa della totale identificazione con essa.
Il personaggio interpretato dalla maschera funge da protezione ed aiuta a nascondere le proprie fragilità. Come ho scritto più volte, questo è assolutamente normale ed anzi, adattivo. Diventa disfunzionale quando l’individuo resta troppo tempo con quella maschera addosso, rischiando di confondere il proprio volto con la maschera: così, il personaggio fittizio si sostituisce a quello vero, vive la sua vita, ha comportamenti e convinzioni sue che soffocano le vere emozioni, capacità e doti dell’individuo.
Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.
(Luigi Pirandello)
Perché ci si identifica con la propria maschera?
Ciò che porta ad identificarsi con la propria maschera è la paura. Finchè si ha paura non è possibile esprimere la propria identità bensì un frammento. La paura fa mostrare al mondo qualcos’altro, qualcosa che necessita di essere continuamente alimentato. Anche se la maschera che si espone al mondo ha successo e riconoscimento, io cosa ottengo? Non ottengo assolutamente nulla, perché il successo l’ha avuto la maschera ma io sono rimasto vuoto, povero interiormente. Qualunque successo è il successo di un’immagine, io rimango quello di prima anche se divento il presidente degli Stati Uniti. Da qui il senso di vuoto e la povertà interiore di chi si identifica con la maschera che indossa.
Il dovere di ognuno è diventare uno, far andare d’accordo le diverse maschere di sè senza permettere che una prenda il sopravvento su tutte: il dovere di ognuno è essere il regista dei differenti personaggi.
Tu non sei le tue maschere, tu sei l’osservatore delle tue maschere!
Ad un certo punto della vita occorre fermarsi e ripercorrere la propria storia per riconoscere quando si è iniziato a sopprimere troppo di sé stessi.
Conoscersi non significa dirsi “io sono così, punto” ma dirsi: “ora in me c’è questo, tra poco ci sarà altro. Io sono quello che osserva il proprio evolversi”.
Nessuno può mostrare troppo a lungo una faccia a sé stesso e un’altra alla gente senza finire col non sapere più quale sia quella vera.
(Nathaniel Hawthorne)
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